LAMPEDUSA - Prima di andare a Lampedusa, anche Giuseppe come tante persone aveva pregiudizi nei confronti dei migranti. Ora non più. Gli è bastato incrociare lo sguardo di una bambina di due anni e mezzo, l’età di sua figlia. Gli è bastato vedere i suoi occhi lucidi e il modo in cui lo fissava, tra stupore e paura. Giuseppe Marotta ha passato la Pasqua in una sorta di “limbo”. Una specie di terra di mezzo, a metà strada tra disperazione e speranza. Lui, isernino 30enne, si trova da giorni a Lampedusa, l’sola siciliana avamposto dell’accoglienza italiana (ed europea) ai profughi che fuggono dal Maghreb. Peppe è uno dei cinque sommozzatori della Guardia costiera che operano dal 18 aprile scorso in terra sicula. Fa parte del I Nucleo sommozzatori di San Benedetto del Tronto, uno dei soli cinque esistenti in tutta Italia insieme a quelli di Napoli, Messina, Cagliari e Genova. Si è “formato” ed è stato addestrato presso i reparti speciali del raggruppamento subacquei e incursori della Marina militare. Da poco più di una settimana e fino al 15 maggio, Peppe è impiegato in una missione “operativa” in termini tecnici e “umanitaria” nella sua valenza sociale. Una missione che lo vede protagonista delle operazioni a bordo delle motovedette specializzate alla ricerca e in soccorso dei profughi, nonché nei pattugliamenti quotidiani intorno all’isola. Il suo compito primario e quello di intervenire per recuperare i naufraghi direttamente dal mare in caso di necessità, conoscendo le più avanzate tecniche di salvataggio in mare e la rianimazione cardio-polmonare. Uno specialista nel suo campo, dunque. Uno che si è trovato a fare i conti con l’attuale realtà lampedusana fin da subito. Già il primo giorno che era sull’isola. Quando ha assistito allo sbarco più consistente di immigrati a bordo di una sola imbarcazione da quando è iniziata l’emergenza nordafricana. E’ stato quindi testimone oculare di una tragedia. Un dramma privo di morti, ma pieno zeppo di disperazione, di gente, di uomini, donne e bambini pronti a tutto per il proprio futuro. E’ il 19 aprile scorso, quando un barcone, l’ennesimo, viene intercettato a 40 miglia circa a sud di Lampedusa. E’ scortato fino al suo ingresso in porto da quattro motovedette e un aereo della Guardia costiera. Peppe e i suoi colleghi avvicinano il peschereccio per permettere a un team formato da militari, Guardia costiera e medici di salire a bordo per verificare le condizioni dell’imbarcazione e prestare le cure di primo soccorso. La sua squadra ha il compito di intervenire se durante la concitazione del “primo contatto” qualcuno degli operatori o dei naufraghi cada in mare. E’ in questo momento che l’isernino, come tutti, si rende conto di quello che ha davanti agli occhi. A bordo dell’imbarcazione, circa 760 profughi tra cui una quindicina tra bambini e donne, due delle quali in avanzato stato di gravidanza. Peppe vede con i suoi occhi le condizioni igienico-sanitarie a bordo del peschereccio. Per comprendere ciò che quegli occhi hanno visto, bisogna pensare a 800 persone circa stipate una sopra l’altra nella stiva, sul ponte di coperta, ovunque. Bisogna sapere che a bordo il bagno non esiste, che la maggior parte dei profughi soffre il mal di mare. E che tutti devono rimanere seduti per giorni per non destabilizzare l’imbarcazione E poi i bambini, anche loro devono vedere, sentire e vivere tutto questo. Prima di partire, anche Giuseppe nutriva pregiudizi nei confronti dei migranti. Ora non più. Per cambiare idea gli è bastato vedere una realtà che poteva, che potremmo solo immaginare. Una realtà che al contempo deve fare i conti con l’ipotesi peggiore. Quella che ad arrivare siano anche “i cattivi”. E’ qualcosa che Giuseppe mette in conto, pur continuando a fare il suo lavoro: salvare vite. E intanto pensa alla sua famiglia. La preoccupazione dei suoi cari viene mitigata, proprio da questo, dall’orgoglio per un figlio, un marito che dedica parte della sua vita agli altri. Dovrebbe far piacere a tutti: un isernino che presta soccorso a Lampedusa. Ai migranti. Gente che lascia la propria terra per avere una vita migliore. L’intero Molise dovrebbe sapere cosa vuol dire.