Nel 2012 Alessandro Sallusti, in qualità di direttore de Il Giornale, scrisse che Marco Travaglio è un “cretino con il botto” nonché “gazzettiere amico delle Procure”.
Uno come Travaglio sempre compunto, contrito, dispiaciuto, mortificato, sereno e mesto, non poteva accettare queste gratuite affermazioni del suo collega. Si è, quindi, rivolto alla Magistratura per avere giustizia e giustizia è stata fatta. La Magistratura ha aperto il fascicolo, attivato un processo e, alla fine, ha condannato Sallusti per diffamazione. Il tapino dovrà risarcire il danno con 18 mila euro più altri 6 mila euro di riparazione pecuniaria, oltre ad una multa di 700 euro e l’obbligo a pubblicare un estratto della sentenza. Infine, dovrà pagare 5.600 euro di spese legali.
Fin qui, ponendo fantasiosamente attenzione all’atteggiamento compunto, contrito, dispiaciuto, mortificato, sereno e mesto di Travaglio, potremmo gioire con lui per il risultato ottenuto in Tribunale. Ma così non è, perché Travaglio non è un compunto, non è un contrito, non è un sereno, non è un mesto. Tutt’altro! Travaglio, per tutte le condanne già ricevute fin qui, potrebbe già ambire alla qualifica di “calunniatore professionista”.
Per questo motivo, fa specie vederlo nelle vesti di denunciante contro un suo collega per due frasi che a leggerle da cittadino non sembrano tanto offensive rispetto alle sue che sono sempre micidiali e velenose.
Per questo motivo fanno tenerezza i suoi giornalisti che ironizzano contro chi si permette di querelare il loro direttore e fa tenerezza lo stesso Travaglio quando, per evitare guai sempre più seri con la giustizia, si diletta a scrivere articolesse (nel gergo redazionale quei pezzi lunghissimi e noiosi) con frasi che dicono e non dicono, dando comunque a intendere di dire più di quel che dicono, fino a imprimere un marchio infamante sul povero disgraziato che finisce sotto le sue grinfie.
In ogni caso è divertente leggere di questo scambio di tenerezze tra utilizzatori e fruitori di calunnie.