AGNONE - Continuano gli appuntamenti del Festival dell’Avanti ed il terzo evento è stato dedicato al femminicidio. Ospite della serata è stato Paolo De Chiara, giornalista e scrittore isernino, che si è occupato del caso di Lea Garofalo, una testimone di giustizia che ha pagato con la vita la difficile scelta di testimoniare contro quel sistema corrotto che è la ‘Ndrangheta.
De Chiara, non si sente parlare molto di associazioni a delinquere da queste parti. Come mai ha scelto di dedicarsi a questo tema?
“Da anni le mafie fanno i loro sporchi affari qui nella nostra regione. Rifiuti tossici, acquisto di aziende, droga e altro ancora. Il problema è che non se ne parla molto perché trattare questi argomenti è difficile anche per la situazione che vive buona parte dell’informazione regionale. Quest’ultimo, è un settore che troppo spesso è legato al potere politico che preferisce nascondere problematiche simili. Di fatto le associazioni a delinquere operano anche qui ed è bene rendersene conto. Per questi motivi era necessario parlare della donna-coraggio che ha avuto la forza di voltare la testa e di denunciare il contesto mafioso dal quale proveniva.”
La Garofalo affronta ben sette anni di isolamento nel programma protezione testimoni, subisce le minacce del clan Cosco, viene aggredita a casa sua ed infine rapita, interrogata sotto tortura ed uccisa. Passano gli anni e finalmente il processo. A proposito delle condanne lei nel suo libro scrive: ‘(…) è il trionfo dello stato, della legge, della legalità.’ Che cosa ha significato il verdetto per tutti coloro sono ancora in attesa di vedere il mafioso di turno dietro le sbarre?
“L’esempio di Lea è straordinario. Questa giovane donna ha sconfitto da sola, senza l’aiuto di nessuno, un intero clan. Ci ha insegnato che se tutti insieme ci unissimo e facessimo i cittadini, poiché non è necessario essere eroi, potremmo immaginare un futuro migliore. La macchina della giustizia è grande e lenta ma alla fine va dove deve andare.”
Lei ha fatto dell’insegnamento della legalità un mantra. Svolge questa attività educativa nelle scuole dove ai ragazzi vengono fatti vedere generalmente solo dei film. Non pensa che far leggere loro qualcosa su questo argomento possa essere più utile?
“Credo che basterebbe che i giovani leggessero la costituzione e il problema potrebbe risolversi. È sufficiente parlare di legalità.”
In base alla sua esperienza, quanto sanno gli adolescenti sulla mafia?
“Dirò questo: le iniziative più belle le ho fatte all’interno degli istituti scolastici. La conoscenza è ottima. Sarebbe il caso che fossero i ragazzi ad insegnare agli adulti.”
La legalità è un concetto che inizia a diventare centrale nell’educazione. Ci si chiede: tutte queste fiction a tema mafioso, non sono controproducenti?
“Be’ non tutte. Le fiction in cui il boss è l’esaltazione del boss sono molto dannose per i ragazzi che pensano che i capi-cosca abbiano una vita a base di lusso e donne. In realtà quel tipo di vita finisce o con la morte o dietro le sbarre.”