AGNONE - Non si può morire lavorando.
È un’inchiesta di Repubblica l’oggetto di discussione del quarto appuntamento del Festival Regionale dell’Avanti.
L’indagine, a cura di Pasquale Notargiacomo e Andrea Meccia, piazza lì, sotto gli occhi di tutti, gli orrori delle morti bianche.
“Definire morti bianche i decessi avvenuti sul luogo di lavoro è ipocrita” afferma Marco Bazzani, operaio metalmeccanico nonché rappresentante dei lavoratori per la sicurezza, “significa deresponsabilizzarsi per ciò che accade. Come se quegli incidenti non avessero colpevoli. Invece ci sono. C’è sempre qualcuno che è in difetto.”
Ciò che emerge dai video proiettati alla platea, che ascolta sbigottita le storie narrate, è un mondo del lavoro in cui non solo vige il precariato bensì anche l’insicurezza, l’ingiustizia e la paura di denunciare gli eventi che in Italia giorno dopo giorno fanno vittime o falciano vite. Insomma: è difficile trovare impiego ma lo è altrettanto sopravvivere lavorando in alcuni settori.
Tra le vicende narrate, c’è quella di Nicola Cavicchi, trentacinquenne morto sotto le macerie del capannone in cui lavorava durante una scossa di terremoto in Emilia Romagna. Alla famiglia di Nicola, per la dipartita del giovane sono stati riconosciuti solo 1936 euro e 80 centesimi. Può una vita valere così poco? Com’è possibile non indignarsi davanti a tutto ciò?
Prevenire situazioni spiacevoli come quelle descritte nei video servizi di Notargiacomo e Meccia, lottare per la sicurezza nei posti di lavoro è il mantra di Marco Bazzoni che da anni porta avanti una campagna in difesa dei lavoratori. Bazzoni infatti è riuscito a creare una rete d’aiuto per i lavoratori vittime di infortunio e le loro famiglie; inoltre l’operaio metalmeccanico è riuscito ad avviare una procedura che farà si che l’Europa obblighi l’Italia ad inasprire i regolamenti in materia di sicurezza: i datori di lavoro devono essere responsabilizzati affinché i dipendenti siano più tutelati.