Riceviamo e pubblichiamo dal professor Valerio Mancini, da Roma.
Negli ultimi giorni, il Molise è diventato improvvisamente visibile. Ce ne accorgiamo soprattutto noi che viviamo lontano dalla nostra terra d’origine. Ma se la visibilità è quella offerta dal film di Checco Zalone o dai servizi delle “Jene” su Italia 1, meglio rimanere nel dimenticatoio.
Il trash del film di Zalone apre un vulnus soprattutto culturale: le mezze verità possono rappresentare punti di forza e di debolezza a seconda di come si rappresentano. E se si insiste, si trasformano in pregiudizi. Così: avere abitanti parsimoniosi, frutto di una solida cultura contadina, non è trendy rispetto ai radicalchic delle ville toscane; essere dissanguati dall’emigrazione e avere pochi bambini nelle piazze diventa una sorta di misfatto; idem il fatto di rappresentare una zona sismica, caduta di tono anche verso le vittime di San Giuliano; il “valore” della ruralità equivale alla più becera arretratezza; la religiosità, espressa con una processione, annienta la ricchezza etnoantropologica. Questi i messaggi che emergono dal film, dove il Molise è sostanzialmente “ridicolo”: non a caso il bimbo ride solo a sentirne il nome, scatenando l’ilarità di tutte le platee nelle sale cinematografiche. C’è da domandarsi perché la cinematografia italiana utilizzi il Molise non come splendida scenografia (è il caso della Gubbio di Don Matteo), ma come “brand” di ridicolaggine.
A ciò si aggiunge questa storia degli emolumenti dei consiglieri regionali molisani, diventata una sorta di tormentone tra trasmissioni Mediaset e Rai.
Emerge, in conclusione, una regione che si sa far male da sola.
C’è un'altra dimostrazione. A Roma i validi amici dell’associazione “Forche Caudine”, a cui sono iscritto da anni, sono impegnati nell’organizzazione di una grande rassegna sul Molise in zona Garbatella. Qualche tempo fa ho stampato il programma, davvero ben fatto perché evidenzia gli aspetti migliori di questa terra bellissima: l’enogastronomia, l’artigianato, i paesaggi, la cultura millenaria. Hanno invitato a parlarne i migliori rappresentanti culturali, come Mauro Gioielli, Giuseppe Tabasso e Franco Valente.
Oggi mi capita di rileggere il programma on-line e con sorpresa lo trovo cambiato. Come? Sono stati inseriti una trentina di rappresentanti istituzionali del Molise, cioè assessori, consiglieri, sindaci e via cantando. Mi sembra chiaro che tutto ciò sia imposto dall’alto. Ma davvero questi politici, con le loro passerelle, pensano di arricchire un programma che onora questa terra e i suoi migliori rappresentanti, come Jacovitti o Jovine? Credono che i molisani di Roma e i tanti non romani accorreranno entusiasti per assistere alle loro prevedibili performance?
Prof. Valerio Mancini - Roma