AGNONE - Il teatro dialettale come veicolo promozionale di un territorio che abbraccia una vasta area tra alto Molise, Sangro e Vastese. Idiomi, spesso dimenticati, che hanno trovato un punto d’incontro sul palcoscenico dell’Italo Argentino trasformatosi in una fabbrica di risate grazie all’ultima commedia “A ppoche a ppoca se coce...la precoca” messa in scena dalla compagnia il “Teatro comico degli Abruzzi” e brillantemente diretta da Umberto Di Ciocco. Trattasi del vero fenomeno natalizio dell’anno che nell’arco di una settimana ha riempito in ordine di posto per ben due volte (in serata attesa la terza replica, ndr) la struttura agnonese. Un exploit di critica e di pubblico che non è passato inosservato, il quale spinge gli autori a continuare sulla strada intrapresa con l’obiettivo dichiarato di coinvolgere sempre più persone che tengono a cuore il futuro di un’area alle prese con forti problematiche di natura economica e sociale. Così se l’obiettivo prioritario resta quello di far ridere la gente i temi trattati - il più delle volte - fanno riferimento alla realtà quotidiana. In quest’ultimo caso, seppur in maniera velata, toccato il tasto dell’ospedale cittadino. Con l’attore e registra Umberto Di Ciocco abbiamo voluto approfondire il discorso partendo dalla fine. O meglio da quella dichiarazione fatta a fine rappresentazione che riassume un passato oggi (forse) volutamente accantonato. “Una volta le infermiere del Caracciolo portavano a casa il lavoro svolto in corsia”.
Di Ciocco ci spieghi meglio cosa ha voluto dire?
“E’ semplice e per certi versi scontato per chi è stato ricoverato nella struttura altomolisana dove si è avuto modo di tastare con mano l’umanità, la professionalità, la disponibilità del personale. Valori che probabilmente oggi si stanno perdendo, noi nel nostro piccolo abbiamo inteso rilanciarli senza entrare nel merito di quanto accade”.
In questo periodo dell’anno in Italia spopola il cinepanettone, ad Agnone il fenomeno e quello delle commedie dialettali. Qual è la differenza?
“In giro c’è troppa volgarità e morali inesistenti. Dal canto nostro ci proponiamo di far ridere gli spettatori cercando di far trascorrere loro due ore in serenità”.
Sul palco dell’Argentino si sono avvicendati tutti attori non professionisti ma che hanno dato riprova di saperci fare. Ci faccia un nome su tutti.
“Molti di noi non hanno più l’età per affermarsi ma a livello amatoriale a fare la differenza è la passione, il divertimento, la genuinità che ci si mette a prescindere dai tecnicismi. Un nome? Difficile, ma se insistete dico Eleonora Levrieri che recita nella compagnia di Antonino Patriarca. Penso che possieda tutte le capacità per esplodere”.
Da quattro anni e cioè da quando avete deciso di salire su un palcoscenico è stato un crescendo. Dove volete arrivare?
“Da nessuna parte. Stiamo bene dove siamo, cioè con i piedi saldamente a terra”.
Dialetti abruzzesi e molisani quale motore propulsore del vostro progetto. E’ questo il successo?
“Non solo. La nostra idea di base è quella di cercare di rilanciare il territorio anche grazie al teatro. Tornando ai dialetti con una battuta oserei dire che più strumenti ci sono in un’orchestra e più bella è la musica da ascoltare”.
Molise e Abruzzo torneranno un’unica regione?
“Non ho le idee molto chiare su questa tematica ma se ciò dovesse portare al salvataggio delle nostre terre, allora che ben venga”.
Che fine ha fatto l’altro co-autore Sergio Sammartino?
“Diciamo che si è preso un po’ di ferie ma presto lo rivedrete al nostro fianco”.
Una domanda del tutto personale. Se potesse rinascere farebbe l’attore?
“Se fare l’attore significa avere lo spirito che ho oggi a 50 e passa anni, allora lo farei volentieri”.
In ultimo vuole ricordare i prossimi appuntamenti dell’ultima fatica?
“Il 15 gennaio saremo ad Isernia e stiamo organizzando un tour che coinvolgerà centri quali Campobasso, Roma, Castel di Sangro, Sulmona, Atessa, Castiglione Messer Marino, Borrelli. Resta solo da stabilire le date”.